Cominciamo, dai…
Tecnici della riabilitazione psichiatrica già da prima che il profilo si delineasse con un articolo. La nostra figura professionale è nata dalla necessità di approfondire le conoscenze per poter dare alle persone che abbiamo incontrato nella prassi una vita che non sia solo la rappresentazione della sofferenza. In tanti anni abbiamo affrontato vari cambi di paradigma, sempre ancorati alle teorie di riferimento che hanno caratterizzano i tempi; in questi ultimi cognitivo- comportamentale anche per core-competence..
Oggi lavoriamo in centri diurni, residenziali e semiresidenziali, in rems e in spdc, sul campo dovunque può essere utile operare con le nostre conoscenze, dove i responsabili psichiatri riescono ad intravedere una applicazione sensata in linea con le nostre specificità o anche in autonomia quando è necessario comprendere e rispondere allo stupore del mai vissuto prima. WHODAS, problem solving, social skills, recovery, psicoeducazione ed altro. Umanità che si trasforma.
C’è un emergenza planetaria, diversa dalla nostra routinaria emergenza e tutto diventa incerto. Minuto dopo minuto, dopo qualche giorno cominciano ad arrivare decreti e circolari di indirizzo dai vari enti, cerchiamo di orientarci. Da subito sembra chiaro a tutti che bisogna lavorare in isolamento, anzi, in distanziamento. Dire ai familiari: “non venite” diventa: “bisogna ridurre al massimo la vostra presenza in struttura, venite solo per necessità improrogabili e l’appuntamento è fuori al cancello, purtroppo.”. Efficace ed efficiente.
E poi: “Ciccio non possiamo uscire senza DPI.”. Il progetto che ti ha portato qui dalla questura all’opg, ora in SIR (struttura intermedia residenziale) e a marzo prevedeva il cercare una piccola casa per farti vivere con la tua compagna, è sospeso a tempo indeterminato. Tutte le mattine mi chiedeva di fare presto oggi mi guarda negli occhi e non mi chiede nulla, ha da subito intuito che si tratta di resistere, oggi non c’è più protocollo che tenga. Ci sono io e tutti quanti dentro. Fino a ieri dicevamo: “uscite, che state a fare qua! Troviamo qualcosa da fare al centro polifunzionale, in biblioteca multimediale, negli spazi per la socializzazione esistenti nel nostro rione, nei quartieri limitrofi”. Adesso: “meno usciamo e meglio è, per noi e le persone che amiamo!”. C’è una frase di Gaber in una teatro-canzone del 1973: “..siamo murati dentro..”. No, noi no, non lo siamo stati prima e non lo saremo ora che non si può fisicamente uscire. “Enzo che facciamo?”. “Manteniamo il contatto con l’esterno attraverso i social network, permettiamo a familiari e chi è interessato a seguire le nostre vicende, la quotidianità, attraverso un profilo social”. Nasce un diario di foto, video, interviste e un racconto giornaliero dell’umore collettivo.
E sempre da…
Un sorriso, dalla sua liberatoria catarsi o dalle sue positive conseguenze, come l’amore. E come piacerebbe a diary of a mad coffee maker. Dal sorriso, dalla sana ironia a dall’irrinunciabile “profumo del caffè”, per giungere a disvenare finalmente quell’arcano che abbiamo nascosto, pur se con un rispettoso, nonché sincero sentimento di ringraziamento. A Dio, se esiste e anche se non esiste, a
noi stessi, a voi che ci seguite e a chi ci precede in posizione apicale ed in rigoroso ordine burocratico (proprio come Weber comanda), pubblico o privato sociale che sia, ma con presenza, attenzione e affetto. Dalle tenebre alla luce.
Allora…
Immagina che un giorno ti possa trovare al cospetto di due astronauti che, di sicuro, saranno metantropi (penseresti); per le armature che indossano; per l’andatura con cui sono scesi dalla grande unità mobile caduta chissà come sulla terra. Dopo le dovute gestualità cosmicomichenapoletane di rito tra le parti (I. Calvino ce lo consentirà, anche i vertici) al mero fine comunicativo (in breve: ma vuje, chi site? Che bulite?), i presunti alieni che si stanno scientemente apprestando a scovare altre forme di vita patogene dal tuo e dall’altrui io corporeo, iniziano però a gesticolare in maniera concitata e a parlare tra loro con grande sforzo, tra le visiere appannate e con alterata voce metallica. Ebbene, sappiate che fu solo al terzo tentativo di dare finalmente vita alla nova scienza, che una di queste braccia bloccò risolutamente il suo omologo – pronto, con la provetta in mano mentre si accingeva a prelevare su di noi il perfido agente pseudobiopsicogeropatogeno… e all’improvviso gridare, nonostante il casco, la mascherina, la muta e le pinne, in un comprensibilissimo idioma nostrano: tutt’o cuntrario!!! (all’incontrario), riferendosi alla provetta che si accingeva a testare!
Oppure…
Vedere con i propri occhi, solo due giorni dopo, ripiombare l’Astronave che arriva – grande S. Caputo – di nuovo, beh credetemi, fu un duro colpo per tutti noi! Senz’altro un segno per i peccati commessi (anche se mi pento molto di più per quelli non fatti; vabbè, ma questa è una Questione privata, cit. CCCP); o forse, un monito per pentirsi e redimersi, ma soprattutto per potersi ancora salvare; o, anche, più probabile, la vita, l’avverso fato e la terra, perenne valle di lacrime… chissà! Rivederla ripiombare in sede con altri astronauti, per giunta, ancor più bardati ed alieni, ci fece presagire che quella visita non nascondesse niente di buono. Ed il cuore, poi! Oh il cuore, il tuo cuore che batte, batte e va giù, giù, sempre più giù, ben oltre il fondo degli sdruciti calzini, oltre le viscere della terra (nel ns caso, le fogne ancora borboniche della ns amata terra…): “Addio mondo crudele”, si sentì riecheggiare in casa e famiglia e per gli altri servizi! Fu questo l’unico ed ultimo pensiero che passò nelle ns teste (buone, meno buone, funzionanti, da riparare, sane o malate) in quel preciso attimo. Ma, c’era un ma… una speranza, una luce oltre le czz di tenebre o al fondo del fottuto tunnel, fate Voi. Al momento del fatidico ed inoppugnabile elenco che avrebbe sancito, anzi decretato la presunta vita, reclusione o morte, il ritorno o meno all’amato focolaio (no no no, correggo: focolare), all’amato focolare domestico con i ns imparagonabili figli “ca’ chianneno (piangono a più non posso) e vonne (desiderano come non mai) ‘a mamm (quella napoletana, però)”, nell’ultimo attimo di lucidità che ti rimane, e quindi l’ultima “lotta per la sopravvivenza” quale unico retaggio del sociadarwinismo imposto, al sentire i cognomi
che scandivano l’attesa e pronunciavano la condanna, nessuno di essi era a noi noto! Bastò un attimo, un lampo di genio, una voce si levò e disse: ma noi stiamo al nr. 61, non è che cercate il 177? E d’improvviso, tornammo a riveder le stelle! Infine, l’astronave che riprendeva il suo viaggio in difesa dei più deboli. Questione di numeri, questione di civici.
Cocktail…
Riusciremo ad esser trasparenti nel cripticismo? O espliciti nel non detto? Ci proveremo, dunque. Mischiate tutte le tensioni, l’ansia, l’incredulità, la paura, lo sconforto, la speranza, la gratitudine, la professionalità, l’ironia, la gioia che tutto ciò ci ha provocato in quel grande cocktail che è la vita in tempi di “sacreCorone united” nelle tanto citate dai mass media “residenze” e otterrete nel nostro caso un buon distillato di attenzioni, attese, speranze e cura da gustare con amici, bevendo insieme del vino rosso, indifferentemente dal basso verso l’alto o dall’alto verso il basso. E questo ci piace, molto. In particolar modo, quando chi dirige il vapore fa la sua parte e anche bene, con controlli a tappeto, anche ripetuti e mirati a più fasce della popolazione svantaggiata, fornendo i presidi adeguati che scarseggiano ovunque. E ci fa sentire importanti, quasi fossimo calciatori o alti prelati o potenti politici! Bene. Va tutto bene, per ora. E non sempre il detto: “gli è tutto da rifare” ha valore negativo. Al contrario, anzi! Grazie.
Caffè…
Le attività iniziano la mattina con un buon caffè, tutti insieme, più o meno alle 8.00: Annaflora, Cristina, Antonio, Lucia, Federica, Bruno, Raffaele, Daniele, Federica, Paolo, Stella e Francesca si danno il cambio
24 ore su ventiquattro con Enzo, Patrizia, Teresa, Lidia, Luigi e Francesca M. inf. Prof.; Stefania S. assistente sociale; Salvatore Moscatiello TERP, ci supporta con tutti i colleghi del CDR di cui è referente inserendo ogni giorno alcuni dei nostri nelle loro attività esterne, momenti importanti di decondizionamento. Elisabetta F. psichiatra responsabile del CDR, Angela B. psichiatra responsabile della SIR e Emma D’. psichiatra direttore dei distretti 25 e 26 della Na1 Centro sempre al nostro fianco ci hanno dato una condivisa possibilità di azione, tutti in maniche di camicie, o meglio: di camice.
Poi, i DPI, come le mascherine chirurgiche e i guanti in lattice, che ci fanno respirare male e sudare per ore e ore, le persone che assistiamo rispondono al sorriso anche attraverso questi strumenti necessari per raggiungere lo scopo che ci siamo prefissati fin dall’inizio: resistere il più possibile al contagio. E i DPI, li usano!